Pillole di Storia fidardense
a cura del Dott. Renzo Bislani
1000 – ANNO MILLE. CASTRUM FICARDI – IL SECONDO INSEDIAMENTO CASTELLANO, DALLA PIANURA ALLA COLLINA
Nell’invitare i lettori a leggere alcuni volumi fondamentali per la storia della nostra città:
- Cecconi La storia di Castelfidardo, 1879
- Pigini – P. Bontempi, Vita e statuti di Castelfidardo antica, 1972
- Moroni, Castelfidardo nell’età moderna, 1985
- Bugiolacchi, Castelfidardo e dintorni, 2005
…continuiamo a parlare dei natali “castellani”:
Castrum Variliani, Abbiamo visto come la nostra comunità castellana abbia avuto i natali con la centuriazione e l’assegnazione delle terre connesse con due momenti della storia romana: la fondazione della colonia di Auximum e Potentia nella prima metà del secolo II a.c. e le assegnazioni viritane fatte ai veterani in epoca triumvirale augustea. Nella zona alta della centuriazione, lambita dalle acque dell’Aspio, ai confini di Numana, si costituisce il “castrum” dando luogo alla formazione del primo insediamento organico che prenderà il nome di Castrum Variliani. Con l’assedio dei Goti dell’anno 539, gli osimani fuggono dalla città e numerosi si rifugiano in questa zona limitrofa per la vicinanza della costa e dove il nucleo abitativo é più organizzato incrementando il nucleo abitativo. I monaci benedettini di stanza all’Abbadia di Osimo avranno cura del tempio di San Vittore voluto dalla madre patria osimana.
Nelle riformanze castellane (10.8.1508 – VI) si legge: Ser Ambrosius Ser Bernardini tradidit et concessit viam, que frequentatur a peregrinis a civitate Ancone ad divinam Mariam de Laureto, ad commoditatem peregrinatium per possessionem ser Marrini, que est in contrada Varulliani iusta bona domini Joannis Francisci… Si sta parlando della “strada romana”, l’unica via di collegamento tra Loreto, Castello e Ancona. La contrada dall’originale toponimo bizantino “Variliano” ( “Variliani” fino al 1300, genitivo possessivo come a dire la Terra di Varuliano) nel XVI secolo è conosciuta come “Varulliani” per trasformarsi definitivamente in “Varugliani”.
La stessa contrada cambierà il nome in San Vittore con la costruzione in loco del tempio. Denominazione tuttora presente nel territorio castellano nella zona tra Monte Camillone, Monte San Pellegrino e l’Aspio. Poi i nostri “patres” daranno il nome in memoria di Varulliano o Varugliano al terziere centrale e alla piazza principale della nuova comunità.
Castrum Ficardi. Nell’alto medioevo l’originale agglomerato umano del Varugliano si sposta quindi nell’attuale collina già denominata Waldum de fico. L’insicurezza del luogo indifeso, la precaria situazione idraulica e l’impantanamento causati dal Musone inducono gli abitanti a spostarsi gradualmente sull’attuale colle, dove devono esistere condizioni di vita migliori. Ricordiamo che nell’assedio di Osimo del 359 gli osimani abbandonano la città per cercare rifugio nelle zone limitrofe e si saranno fermati allora anche nella vicina collina di Waldum de fico. Il nuovo nucleo abitativo prenderà il nome di Castrum Ficardi (anche se alcuni documenti riportano il nome di Giccardo, Guicardo o Guiscardo).
Libera riproduzione dello storico P. Bugiolacchi tratta da un’incisione di Orazio De Sanctis del 1573 esistente presso la Galleria degli Uffizi di Firenze
I Longobardi e i Bizantini. Dobbiamo ora occuparci dei Longobardi per arrivare ai toponimi che ci riguardano. Nell’anno 591 Osimo viene occupata dai Longobardi. Nel 598 viene recuperata dai Bizantini. Sicché dalla fine del VI secolo Osimo, Jesi e Humana restano comprese nel territorio bizantino mentre a sud di esse dominano i Longobardi a mezzo dei duchi di Spoleto. Nel 750 Astolfo re dei Longobardi conquista Ravenna e la Pentapoli. 751 Morto Lupo, Astolfo, si appropria del ducato di Spoleto. Nel 756 Contro questa impresa reagisce il re dei Franchi Pipino che dopo varie manovre dilatorie da parte di Astolfo, fa occupare dalle sue truppe l’Esarcato e stipula col Papa quell’atto di donazione che costituirà la base giuridica dello stato pontificio.
Nell’anno 817 Ludovico il Pio conferma alla Santa Sede il possesso della Pentapoli con Ancona, Osimo, Humana, Jesi e il ducato di Spoleto. 1014 L’imperatore Enrico II, ripetendo la donazione dei suoi predecessori annovera Humana tra le città della Pentapoli. 1056 Dalla parte nord della regione, appoggiato da Enrico IV, arriva fin dal 1056 Guarnieri che occupa Ancona e la Pentapoli. 1078 Gregorio VII scomunica i Normanni “qui invadere terram S.Petri laborant, videlicet Marchiam Firmanam, Ducatum Spoletanum”. 1079 Roberto il Guiscardo arriva senz’altro ad occupare parte della Marca fermana, venendo assolto dal Papa. Pare che lo stesso Enrico IV offra la detta Marca a Roberto.
Toponimi longobardi e bizantini. I toponimi confermano la presenza longobarda nella nostra zona. Da “Wald”, termine longobardo per indicare un bosco, ma anche “aggregato di beni diversi” o “unità fondiaria”, muovono i nomi locali… Vualdum qui vocatur de Fico (aa.847-850), nel territorio di Castello, come appare nel Codice Bavaro: un registro catastale del secolo X che raccoglie annotazioni e regesti di negozi giuridici relativi ai possessi della chiesa di Ravenna nella Pentapoli. Esiste tutt’oggi nel territorio di Castello anche il toponimo Fonte di Gualdo, derivato dal nome locale in questione. 1095 “L’idronimo Mossione, l’odierno fiume Musone, deriverebbe dalla voce longobarda “mosa”, “luogo pantanoso”. Includi anche l’antica contrada di S.Angelo (nella zona dell’attuale Sant’Agostino), e la contrada del Cerretano (Cerreto).
Dai toponimi prediali di area bizantino ravennate si ha invece, come abbiamo visto in precedenza, la contrada e castro Variliano.
La Diocesi di Humana. “Nell’alto Medioevo il territorio appare in gran parte dominato dall’incolto. Selve e paludi si estendono soprattutto verso la costa e nelle basse valli del Potenza e del Musone. Qui dopo la guerra greco-gotica, scomparsa ormai la colonia romana di Potentia e perso ogni controllo delle acque, l’antico paesaggio agrario appare completamente sconvolto. Quest’area, posta al confine tra la pentapoli bizantina e il ducato di Spoleto, è sotto la giurisdizione della diocesi di Numana”. Sembra che il territorio di Umana, anche in confronto alle altre diocesi della Marca anconetana, si mantenesse notevolmente esteso fino al Mille; più tardi nel basso medioevo, andò progressivamente diminuendo, talché al principio del secolo XIII oltre alla omonima città, credesi comprendesse Sirolo, Massignano, Camerano, Recanati e Castrum Ficardi. È esclusa Offagna appartenente alla diocesi di Osimo. Il potere che esercita il controllo nell’ambito del territorio per il sec.XII, sembra diviso tra il vescovo di Numana, a nord dell’antico corso del fiume Musone, e una certa famiglia – più nota con l’appellativo dei Signori della Marina o del Poggio – a sud dello stesso fiume (Grimaldi).
Giccardo o Ficcardo. “È non lontano dal Valdum de Fico che sorse, intorno al Mille, un castello dapprima indicato come Castrum Guicardi o Giccardi e poi Castrum Ficardi o Ficcardi. È molto probabile perciò che il castello sia stato così chiamato perché sorto nel territorio già denominato de Fico” (Moroni).
Nei documenti giunti fino a noi leggiamo: 847-850 Vualdum qui vocatur de fico, bosco chiamato fico (Codice Bavaro). 24.5.1139. Papa Innocenzo II su richiesta del Priore Benedetto conferma all’eremo di S.Croce di Fonte Avellana i suoi possessi e diritti sulla chiesa di S.Silvestro (monasterii S.Silvestri ?) posta nel comitato di Osimo, nella diocesi di Humana e iuxta Castrum Guiccardi. 3.11.1187 Papa Gregorio VIII fra le chiese della diocesi di Humana, sulle quali conferma nuovamente all’eremo di Fonte Avellana possessi e diritti, ricorda ecclesiam Sancti Anastasii de Castro Ficardi, che evidentemente è da identificarsi con la chiesa di S.Silvestro della carta precedente. Gennaio 1196 Cartula Populi Castri Giccardi. I consoli castellani giurano fedeltà alla chiesa di S. Leopardo di Osimo e al vescovo Gentile. 1202 Pace di Polverigi dove partecipa anche castro Ficcardi.
Castello deriva dal termine latino castrum o castro> accampamento. Non vi sono prove per pensare invece ad un vero e proprio “castello”. Il “castrum” assolverà nel tempo alla difesa dei suoi abitanti e sarà centro di dominio sul territorio e sede di organizzazione amministrativa e giudiziaria.
Per il secondo insediamento dobbiamo partire da fico che potrebbe avere riferimento alle piante di fico che dovevano essere presenti nel bosco o riferirsi al nome di una persona, un germanico, ficcho o vihho. Castello sarebbe sorto nel luogo ricco di fichi oppure un tempo appartenente a un tale possidente longobardo? La trasformazione di fico in ficardo avverrà nel IX e X secolo con l’aggiunta del suffisso in ardo, anch’esso germanico, ad opera dei Franchi. Il gu in Guiccardi rappresenterebbe la traslitterazione latina del suono germanico w. Il raddoppio all’inizio della consonante “c” è normale nella trascrizione del tempo.
Castello fondato da Osimo? A questo punto ritorna l’interrogativo che ci perseguita da sempre. “Della paternità osimana su castello era convinto Ercole Gallo riportato dallo studio del Cecconi e ripreso precedentemente dal Martorelli”. Questa ipotetica fondazione sarebbe avvenuta al tempo della guerra gotica secondo il Baldi (539 d.C): Fu non di meno tanto numeroso il presidio che vi impose Vitige, re dei Goti, che dalle rovine e dalle moltitudine astretti gran parte degli abitatori a disloggiare e dall’antica colonia cavar nuove colonie si fabbricarono intorno, e vicino alla patria alcuni raccolti di case che tuttavia crescendo a nostri tempi sono Terre di qualche conto e stima”. “Gli scrittori delle cose marchigiane, quanti essi sono, non ebbero di Castello notizie anteriori all’undicesimo secolo, e solo fra essi Francesco Gallo ed Antonio Onofri ci fanno credere, con molta ragione, che gli osimani verso la meta del VI secolo lo fabbricassero sul Colle ove oggi signoreggia, e dove è a credere che intorno a quel tempo vivesse padrone e signore di poche ed umili case un Giccardo o Giscardo da cui il loco avea preso il nome, cambiato più secoli dopo con quello di Ficardo che mantenne fino alla metà del secolo XV, dopo la qual epoca si chiamò costantemente Castello”
Allora riepiloghiamo: nel primo insediamento all’Aspio all’apice della centuriazione romana quando arrivano i fuggiaschi osimani già il castro si era costituito con i soldati-coloni romani mentre il territorio era controllato da Humana. Che poi gli Osimani facessero del tutto, come la costruzione del tempio di San Vittore, per mettere le mani su quella terra è vero, ma non fondarono quella comunità. Nel secondo insediamento sulla collina del fico la pretesa di una loro paternità potrebbe essere invece condivisa. Anche se per i secoli avvenire Castello farà fiamme e fuoco per liberarsi di quel giogo in strenua difesa della sua autonomia e libertà.
L’abbandono definitivo e la fine del tempio di San Vittore. Anno 1110 Tutti gli emigrati osimani sfuggiti all’assedio di Belisario e rifugiatisi al Varugliano sono tutti rientrati in patria. 7.1.1193. Il Vescovo Gentile di Osimo distrugge il tempio di San Vittore e ne asporta le reliquie dei santi martiri Vittore e Corona. “Condotti pertanto dal loro vescovo Gentile, vennero con forte nerbo di soldatesche a quel tempio che, come vedemmo, aveano essi stessi fabbricato, e che ora, al dire del Canonico Baldi, posto in parte solinga e fuor di mano era divenuto ricettacolo di soldati stanchi da scorrerie dannaggi e guasti, e non senza spargimento di molto sangue, che i Fidardeschi a viva forza d’armi contesero il sacrilego attentato, se ne impadronirono, e il tempio stesso misero a guasto e ruina…”. 18.9.1196 “Il comune reggimento di Osimo per illustrare il ricordo di si chiaro e si lucente giorno (della traslazione dei corpi dei Martiri) fece dipingere che bene fino a questi tempi appariscono le immagini dei Santi Vittore e Corona e Filippo con l’Angelo secondo che nel martirio di Santa Corona è stata raccontato, discendente dal cielo con due corone in mano. Non solo, e della Città Protettori e difensori nominolli”(Baldi).
La Cartula Populi Castri Giccardi e il Trattato. Agli inizi del secolo undicesimo Castello nel suo nuovo insediamento deve aver trovato la sua autonomia, anche se parziale. Se pur sganciato dal predomino della vicina Osimo, Castello sotto la diocesi di Umana e non di Osimo, offre il pallio simbolico di “dipendenza” ad Ancona. Nel 1140 Guido de Castro Ficardo viene eletto cardinale da Innocenzo II. Nomina che dimostra la raggiunta identità del nuovo nucleo abitativo. Anno 1196. La prima notizia della dipendenza di Castello a Osimo è in una sua obbligazione feudale verso la Cattedrale osimana (Cartula), come ricavasi dal Libro Rosso, gravante su 40 castellani e con garanzia assunta da tutta la Comunità per evitare ogni lite futura. In tale obbligazione quei Consoli si impegnano a offrire ogni anno anche alla cattedrale osimana, nella festa di San Leopardo, un cero del peso di 10 libbre; vi è aggiunto il divieto di portare il pallio ad Ancona. Tale divieto gli osimani avevano imposto per non dar pretesto agli anconitani di vantar dei diritti su Castello, diritti che almeno in parte aveva Osimo (Grillantini).
31.8.1198. Trattato Osimo-Ancona contro Marcovaldo. I marchigiani anche se si sentono più liberi nelle loro autonomie sotto il regime imperiale, sono però gravati fiscalmente specie ad opera di Marcovaldo d’Anweiller che da Enrico IV ha avuto il Ducato di Ravenna e la Marca d’Ancona, Osimo e Ancona, già avversarie, si confederano per difendersi dal prepotere, specie economico, imperiale. A questa federazione aderiscono anche altre città come Fermo, Civitanova, Montelupone, Montesanto, Humana, Castel Giccardo , nonché Macerata. Osimo si impegna a che Castello presenti il pallio ad Ancona in atto di sottomissione.
Il titolo di Santo Stefano alla pieve richiama l’antica soggezione di Castello ad Ancona, come san Vittore a Osimo. Castello dipende da Osimo come si legge nella “Cartula” del 1196, per di più accetta il divieto di portare il pallio ad Ancona. Il che fa presupporre che Castello in tempi anteriori dipendesse da Ancona. D’altro canto il titolo di Santo Stefano protomartire della Pieve richiama la città di Ancona nella quale un antichissimo tempio portava lo stesso nome e probabilmente ricorda l’antica soggezione dei Castellani agli Anconitani. Esisteva infatti ad Ancona una chiesa intitolata a S.Stefano. Il vescovo S.Agostino ci indica i motivi della notorietà del Santuario anconitano e come ebbe origine. “Quando lapidavano S.Stefano vi erano intorno anche innocenti e soprattutto quelli che credevano in Cristo. Dicono che un sasso lo colpì su un gomito e rimbalzando cadde davanti ad un certo uomo pio. Questi lo prese e lo conservò. Costui era un navigante e quando a causa dei suoi viaggi toccò il porto di Ancona, gli fu rivelato che ivi doveva lasciare il sasso. Egli obbedì alla rivelazione e fece quanto gli era stato ordinato: da quel momento cominciò ad esservi memoria di S.Stefano…” Nel 425 questo è l’anno in cui fu pronunciato il discorso, dieci anni dopo il ritrovamento della tomba di santo Stefano a Gerusalemme, vi era dunque in Ancona un tempio costruito in onore del Protomartire. “Juxta Anconitanam civitatem ecclesia beati martyris Stephani sita est”.
Ed ora proponiamo ai lettori “pilloliani” una nostra storia fantastica:
C’ERA ‘NA VO’ ’N FICU. C’era una volta un fico… o meglio una grande pianta di fichi in cima a una collina a balcone sul mare. L’albero di fico, si ergeva a sentinella sulle strade della vallata, tagliata dal tortuoso Aspido e dal fiume Muscio, dondolando e piegando al vento i suoi rami. Da un lato, verso l’aquilone, la Vetus Auximum nicchiava sicura adagiata su una grossa gobba e dall’altra, a Oriente, il lenzuolo verde della Selva profumava l’aria di pino e d’incenso.
Fin lassù, dai prati di Rigo, si spingevano i pastori con le loro greggi e i coloni conducevano i loro armenti per i verdi ed ubertosi fianchi del colle.
Un tal Giccardo, forse mill’anni fa, giovane e prode cavaliere, percorrendo le nostre terre salì sull’altura per ammirare meglio il panorama, e proprio qui, all’ombra del fico, incontrò una pastorella di rara bellezza. Il fico ammiccò l’occhio, allargò la sua folta chioma e chinandosi fin quasi a terra mormorò all’erbetta, che rigogliosa cresceva ai suoi piedi, di far spuntare i fiori più belli.
Giccardo, disceso da cavallo, si avvicinò alla soave fanciulla e con lei prese a parlare dei fiori, dell’azzurro del cielo e del mare che traspariva all’orizzonte e delle ardite cime dei monti che dall’altro lato facevano corona al paesaggio. Lei lo ascoltava rapita sotto le grandi braccia dell’albero, riuscendo a mala pena a sussurrare qualche parola. La pastorella raccolse allora dei fichi e li offerse al giovane viandante. Giccardo prese per mano la sua compagna e si distese a ridosso del maestoso tronco.
Alle parole d’amore, appena bisbigliate, si unì il canto degli uccelli, il leggero stormir delle fronde e il gorgoglio di un vicino ruscello.
– Dimmi il tuo nome fanciulla affinché io possa stregnelo nel core longu il mio gire…
– Nisciu’ m’ha mai chiamato con lo stesso nome… Babbu me da’ i nomi più belli, quello dei fiori, dei santi! Eppo’…quannu sarai gito…
Più tardi, la pastorella vide allontanarsi il suo cavaliere in direzione del sole che scendeva tra i monti in un rosso scenario settembrino e poggiando il capo sul vecchio albero scoppiò in un accorato pianto. Lo avrebbe amato per sempre!
Passò un giorno, ancora gli altri giorni e la tristezza prese a far compagnia la bella pastorella.
– Fetona mia, ascolta… oggie, al Varulliano ho vistu ‘na caruana con preziose masserizie d’un tal nobile, che si dice rrivato fino a chi da luntano pe’ edifica’ ‘n castellu su la cullina del fico e fa’ sua sposa ‘na bellissima bardascia del loco…
– No, no babbu… nun possu credece… oh, Santi Vittore e Corona!…
Una folgore lacerò il cielo e un tuono brontolò tra le nubi che improvvisamente si erano addensate sopra il colle. Padre e figlia corsero per la china in cerca di rifugio. Quando arrivarono al piano il cuore balzava nel forte petto dell’uomo e ancor più batteva affannosamente in quello della fanciulla.
Dopo lunghissimi giorni di pioggia, riapparve il sole. La pastorella uscì dall’angusta capanna, salì sulla collina saltando qua e là rivoli rumorosi e zampillanti. Sotto l’albero del fico, guardò il cielo, il mare: azzurri come quel giorno, le montagne indorate… poi il nitrito di un cavallo le colorò il viso e la rese di sasso. Su di un baio era il suo principe azzurro. Si strinsero fortemente l’uno all’altra, mentre miriadi e argentee goccioline si staccavano dal fico percosso da una improvvisa folata di vento. I due sorrisero.
E il fico fu così spettatore della costruzione del maniero e porse anche lui un aiuto ai fabbriceri offrendo la sua grande ombra ristoratrice. Le campane della Pieve di S.Stefano suonarono a festa per l’intero giorno e la gente portò doni e rese omaggio alla pastorella divenuta la bella castellana. Con gli anni, gli sposi allietati dalla nascita di numerosi figlioli e il fico fece loro da nonno: cullandosi su i suoi rami, offrendo loro squisiti e polposi frutti sopportando amorevolmente le numerose ferite che i piccoli gli producevano durante i loro giochi con l’arco.
La bontà di Giccardo e la carità della bella castellana, sempre pronta a soccorrere i poveri ed albergar viandanti, crearono un alone di simpatia e di leggenda attorno al castello e al fico e le tre torri merlate, indicate come Castrum Giccardi, cioè il castello di Giccardo, cominciarono presto a confondersi in Castrum Ficcardi o Ficardi.
A bellaposta, mill’anni dopo, abbiamo confuso storia e leggenda della nostra bella città di Castello perché così ci piace: del resto ancor oggi la gente dice che in mezzo alla piazza c’era na vo’ un ficu…
Dott.Renzo Bislani